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L’emersione dei sommersi

L’emersione dei sommersi

A marzo 2020, mentre la pandemia dilagava nella penisola italica e veniva deciso il primo lockdown, le frontiere tra i paesi europei venivano chiuse e avanzava un fantasma: la mancanza della manodopera agricola. Confagricoltura dichiarò che sarebbero venute meno 200.000 persone per la raccolta e il lavoro nei campi.

Il dilagare di un virus aveva reso edotti tutti su un fatto: i lavoratori e le lavoratrici migranti, stagionali e non, erano il perno dell’agro-industria, come anche del lavoro domestico. Una consapevolezza non banale.

Migliaia di persone etichettate come irregolari, d’altro canto, vennero violentemente relegate alla marginalità e alla precarietà, a causa della quarantena, della chiusura dei posti di lavoro, dell’impossibilità di muoversi (non avendo regolare contratto lavorativo o permesso di soggiorno), vivendo nel perenne timore di essere fermati, multati o segnalati alle autorità competenti.
Eppure, c’erano tanti scaffali nei supermercati da riempire. Si iniziò a discutere degli “irregolari”, ma il focus ruotò non attorno alla loro condizione di esseri umani da tutelare, ma attorno al loro ruolo funzionale alla produzione. L’allora Ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, propose una sanatoria, non generalizzata ma solo in favore dei lavoratori e delle lavoratrici stranieri in Italia del settore agricolo e domestico, senza contratto o in procinto di stipulare un nuovo rapporto di lavoro, ostacolati dal loro status giuridico. Il 19 maggio fu approvato, nella commozione generale, il DL 34/2020, che all’articolo 103 prevedeva le procedure di emersione. Fu palese fin da subito che il numero di persone coinvolte tra i braccianti sarebbe stato veramente minimo.

I canali d’emersione erano due:

  • meccanismo classico (2002, 2009 e 2012), con possibilità per i datori di lavoro di presentare una richiesta di regolarizzazione alle Prefetture.
    • meccanismo che sottolinea la subalternità del lavoratore alla volontà del datore di lavoro ed alimenta sfruttamento e truffe. I lavoratori e le lavoratrici, in scacco, accettano qualsiasi condizione di lavoro o pagano cifre esorbitanti per presentare domanda di permesso di soggiorno;
  • meccanismo innovativo con innovative restrizioni imposte nel decreto-legge (e nei successivi decreti di attuazione e circolari), con la possibilità per coloro che avevano un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre 2019 (data arbitraria) e che avevano già lavorato in uno dei due settori interessati.
    • il lavoro doveva essere provato e documentato, supponendo rapporti di lavori già regolari! In completo contrasto con lo scopo del decreto e cioè far emergere il lavoro nero!

Un po’ di statistiche al 15 agosto, ovvero al termine della sanatoria:

  • le domande presentate attraverso la prima procedura sono state 207.542 (il 15% settore agricolo e 85% settore domestico);
  • le richieste presentate attraverso la seconda procedura sono state 12.986.

Sul sito del Ministero dell’Interno è possibile trovare tutti i report relativi alla presentazione delle domande, ma non c’è il monitoraggio dell’andamento ad oggi, dopo sette mesi. In oltre quaranta città, le Prefetture non hanno ancora iniziato le convocazioni. I lavoratori e le lavoratrici continuano a vivere nei ghetti e a morire, o permangono in un limbo burocratico.

Fonte dati statistici: https://www.intersezionale.com/

Fonte foto: Maria Rosaria Deniso

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